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Azioni Partigiane

Pastorale Italiana

di Baldassarre Caporali

Dai tempi di Eisenhower, le insegne del dollaro, sempre oracolari nel tono e sempre democratiche nell’imperiosità – o nell’imperialismo! -, si sono ornate di una nuova medaglia, che ha annunciato al mondo la più universale delle religioni. Per meglio dire: la nuova insegna proclama ed incorona, in un motto, il capitalismo come religione, come religione senza dogma, e insieme suona le trombe di una religione senza sogno e senza pietà (sans rêve e sans merci), di una religione di puro culto, secondo le parole di Walter Benjamin. Il motto è, al tempo stesso, banale e tracotante, sventato e fanatico: “Confidiamo In Dio”, “In God We Trust”.  

C’è del calvinismo, in tutto ciò? E’ stato scritto molto su questa filiazione, e altrettanto è stato scritto, discusso e setacciato sull’addestramento capitalistico messo in opera dall’etica protestante in senso lato, o anche, ma in modo più obliquo, dalla teologia e dalla devozione dei cattolici, e inoltre non sono mancate attente ricostruzioni archeologiche delle pratiche commerciali dei monoteismi. Ma il moderno capitalismo, e soprattutto il tardo capitalismo sono un’altra cosa, poiché in essi non troviamo più segmenti più o meno isolati, più o meno lunghi di produzione e di circolazione capitalistiche, ma troviamo invece un’economia fondata sullo scambio generalizzato, sull’autopropulsione del denaro e su rapporti di sfruttamento che passano dai luoghi di lavoro alla società, che si fanno società, che diventano società capitalistica. E per quanto riguarda la religione, le banconote della repubblica degli affari nord-americana non sono semplicemente una riedizione rozza e soddisfatta di un’etica economica delle religioni mondiali, di quella trama fitta e intricata di comportamenti di massa, di giustificazioni delle iniquità del mondo e di attese di redenzione, sulla quale ci istruiscono i grossi volumi di Max Weber. La religione proclamata e realizzata nel capitalismo si dispone in un altro piano storico. 

Alla religione capitalistica appartiene un regime sociale ordinato sulla colpa, propagatore inesauribile di colpevolizzazione, sospeso su un vuoto incolmabile di principi, attratto, pertanto, nel vuoto in cui affondano tutte le teologie e tutte le dogmatiche; si tratta, in breve, di un regime sociale immerso nell’identità circolare di una riproduzione ossessiva, tanto più ossessiva quanto più allargata, di una riproduzione ossessionata dall’allargamento. Lo slogan della crescita, sbandierato da imprenditori, statisti e giornalisti, è avvolto nei vapori religiosi della colpa. Ma Benjamin, che del capitalismo come religione è stato lo scopritore e il testardo detective, rinviene, nel culto, il segreto della colpa, e ne scorge le tracce in un peccato ineliminabile, in un peccato riconoscibile nelle resistenze umane all’onnivora volontà capitalistica di assimilazione, nel peccato contro la Volontà di Potenza del capitale. Comunque sia, proprio il culto è la grande scena della religione capitalistica, e in esso si pavoneggia il “senso terribile del dispiegamento di tutte le pompe sacrali, dell’estremo impegno dell’adorante”. Il capitalismo come religione vuole questo: la disperazione di una gaudiosa sottomissione. 

Così, l’omaggio riverente deve scaturire da una zelante esecuzione del comando capitalistico, da una condivisione emulatrice dei suoi fini, da una diligente confluenza di tutte le ambizioni individuali nel colossale meccanismo che gradua il successo economico, facendolo scorrere sopra differenze di classe rese invisibili, sopra l’abisso sociale che separa il magnate della finanza dall’operaio trasformato in piccolo azionista. Il capitalismo come religione rinnova incessantemente quest’impresa, poiché in essa si compie stabilmente la riproduzione dei rapporti di dominio e di sfruttamento del capitale sulla forza lavoro, e questa riproduzione – è stato detto e ridetto, a partire da Marx – è altrettanto essenziale, per il modo di produzione capitalistico, del plusvalore e del profitto. L’ideologia, che, parafrasando Althusser, potremmo definire un rapporto fantastico e falsato degli uomini con le loro condizioni di esistenza, è il terreno storico sul quale la religione capitalistica, come i Cappelli Neri della Giovanna brechtiana, getta le sue reti. Qui si può, tuttavia, scivolare in un malinteso e credere che tra l’ideologia e quell’inusitata religione che è il capitalismo si apra un facile e ampio passaggio, e che questa sia il semplice potenziamento di quella. Le cose non stanno in questo modo. 

Il capitalismo come religione, per essere a tutti gli effetti una religione, deve generare colpa su un fondo duro e tenace di disperazione, così almeno sembra far intendere Benjamin. Ed eccoci allora al punto, al tratto storico distintivo di questa religione: essa ha di mira, in una completa e inflessibile indifferenza nei confronti di ogni misticismo, di ogni dogmatica e di ogni escatologia, solo e soltanto “il governo degli uomini”. E’, a ben vedere, la base antropologica, economica e culturale di quella forma di potere che Foucault, percorrendone in lungo e in largo le genealogie storiche, ha chiamato potere pastorale. Questo potere, coltivato nelle pratiche e nelle istituzioni religiose delle chiese cristiane, ma la cui origine rimonta all’antico ebraismo, ritorna, in forme moderne e razionalizzate, nelle tecnologie capitalistiche di direzione, di selezione e di controllo degli individui sociali. La “governamentalità” capitalistica si unisce alle condotte meticolosamente regolate degli addestramenti religiosi all’obbedienza, nel segno della pastorale. 

Come non pensare allora ai dispositivi sociali che mettono in moto controlli diffusi e capillari al tempo stesso, che convocano tutti e, insieme, circoscrivono le sfere di vita dei singoli, che ancorano la norma amministrativa in un compito indefinito, inesauribile e indifferibile per ogni persona, in ogni momento e senza dilazioni. Il potere pastorale è quindi omologante e appellante, anzi esige un’omologazione compatta ed estrema attraverso l’assolvimento pronto e assoluto di prestazioni obbligatorie individuali, allinea tutti e uno per unoomnes et singulatim -, come ha mostrato Foucault, che di questa forma di potere ha indagato le tecniche, gli esercizi, il meccanismo regolato delle umiliazioni e gli svuotamenti ascetici della volontà individuale. La genealogia di Foucault li ha intrecciati poi in una ricca trama storica di pratiche che dal monachesimo alto-medioevale e dalla patristica tardo antica conduce alle osservazioni, alle definizioni e alle penitenze del confessionale. E’ qui che si trova il nucleo della pastorale cristiana, ed esso lascia scorgere il proprio negativo, il proprio nemico irriducibile, in una sessualità che appare come l’immagine capovolta di una caparbia vigilanza dell’individuo su se stesso, di una vigilanza che moltiplica i sospetti e che esige lo sguardo correttivo di un direttore spirituale. Il direttore spirituale, va da sé, è un personaggio chiave nella costruzione del comportamento obbediente, è un pastore intimo ed elettivo che, tuttavia, le istituzioni, le cariche e le funzioni sacramentali (o i loro surrogati simbolici) delle chiese cristiane hanno trasferito costantemente in un piano politico, sociale e giuridico. Così la soggezione ha potuto trascorrere senza turbamenti dai singoli al gruppo e dal gruppo ai singoli. 

Ecco dunque un governo degli uomini, eccolo nella sua sperimentata e conclamata efficacia. Non può stupirci pertanto la sua permanenza storica, il suo sgusciare in mezzo ad altre forme di potere, il suo rinnovarsi in esse, e soprattutto il suo puntuale bilanciamento sugli scivolamenti interiori dei rapporti di classe, in un gioco di meriti e di afflizioni che, costruendo insieme il soggetto e l’assoggettamento, articolano l’obbedienza come “virtù” fine a se stessa con l’obbedienza al prete e al padrone. Ma sono tante le figure che scappano via nelle età e nei mondi: vescovo e re, tecnocrate e presidente, medico e giornalista, esperto e manager. Ma in esse ritorna sempre il padrone, o, più precisamente, ritorna soltanto il padrone, e ritorna come grande proprietario di mezzi di produzione, poiché soltanto come magnate economico, il padrone può diventare l’anello forte della pastoralità, e disseminare così, in una linea orizzontale, i controlli sociali istituiti dal modo di produzione capitalistico. Siamo di fronte allora ad un ulteriore profilo del capitalismo come religione. 

Ancora un passo: soltanto quando una biopolitica capitalistica fa dell’intera società, in tutti i suoi aspetti e soprattutto nei suoi aspetti non meramente economici – per esempio: previdenziali, giuridici, sanitari, linguistici, culturali, erotici, simbolici, ludici ecc. – un immenso serbatoio di pluslavoro ed un florido mercato finanziario, soltanto allora un avvolgente potere pastorale prepara gli uomini a nuove discipline. Per questo assistiamo, stretti nella morsa di un’emergenza sanitaria rinfocolata senza sosta da piani tecnocratici e antisociali, al completamento della trasformazione dello Stato parlamentare capitalistico – lo Stato-piano keynesiano di cui scriveva Toni Negri, uno Stato incentrato sugli equilibri strategici dello sfruttamento e della riproduzione della forza-lavoro – in uno Stato-impresa che deve spalmare la salute e la malattia nelle reti informatiche e in programmi di investimento familiare. In questi, poi, sguazzano le imprese che fanno ruotare il denaro, poiché vengono venduti, con lauti profitti, da assicurazioni e da cordate bancarie, che naturalmente penalizzano o remunerano i differenti gradi di infermità o di integrità fisica. 

Ma per devolvere la propria vita a questa “piazza finanziaria” occorre un’ingente scorta di obbedienza. Ed ecco allora le proscrizioni dei non vaccinati, accompagnate da marchi e da castighi privi perfino della più labile e pretestuosa congruità pratica, miranti soltanto a mutare in “cerimoniale della Verità” lo sfacciato e temerario  assalto biogenetico della governamentalità capitalistica, sempre più traballante di fronte alla situazione sanitaria e al dilagare della discussione scientifica internazionale, per quanto ostruita dall’industria dello spettacolo. Così la tattica, per chi vuol vederla, diviene perspicua: fare dell’obbedienza un culto che ogni singolo deve adempiere in proprio, perché questo chiede il pastore di tutti, il direttore che veglia sul gregge. Sembra una parabola di Kafka, ma è anche la pastorale italiana. 

Nel frattempo, i prezzi salgono, le bollette scottano, la rete elettronica pervade tutti i pori della vita sociale imponendo ad ogni povero lunghe code per le ricariche, le poche forniture sanitarie e sociali per i malati cronici vengono sottoposte a filtri burocratici che le rallentano o le scoraggiano, ci si deve ammucchiare per i prelievi; inoltre, i salari divengono fortuiti e si muovono secondo l’arbitrio del padrone, che premia i cosiddetti “meritevoli”, ossia chi lavora senza orario o senza paga, ma soprattutto chi non si tira indietro dai rischi di incidente. Infatti, il padrone – o il management  sa bene che in questi casi, così tanto frequenti, i sindacati di Stato non andranno oltre le rituali deprecazioni. Tutto questo fa parte di quelle condotte che l’addestramento pastorale vuol trasformare in abitudini. Il lasciapassare verde, inventato nel crocevia di investimenti soverchianti e di riassetti organizzativi di portata storica, è stato ed è un veicolo di questo addestramento. Il culto offeso della religione capitalistica ha reagito alle resistenze con la “caccia alle streghe”. Il tribunale non è più quello di Jacob Sprenger, l’autore domenicano di un famoso manuale per inquisitori; non ci sono più torture e roghi per le streghe; attendono invece i renitenti al siero, le sospensioni dal lavoro, una sorta di “confino” nella società e la condizione di apolide di fatto. Per il resto le somiglianze lasciano sgomenti: Sprenger strappava l’incognito alle sue vittime spiando la loro devianza da un lungo elenco di articoli di fede; il nuovo potere pastorale capitalistico, meno dogmatico ma più spettacolare – come si addice alla pomposità del culto -, genera stereotipi pubblicitari. 

Ma chi è rigettato fuori dal diritto borghese, nella società borghese cammina in un sentiero scivoloso, perché i venti che soffiano possono condurre in precipizi. Senza il precedente dei cittadini privati della cittadinanza, dei gruppi di pariah che migrazioni, esodi e fughe avevano disperso e riunito, nel succedersi delle catastrofi dei secoli più recenti, nel territorio europeo, le metamorfosi totalitarie delle democrazie parlamentari avrebbero trovato qualche ostacolo in più. Oggi, e da tempi ormai immemorabili, in Occidente, gli immigrati dai continenti dove prosegue, con la maschera degli “aiuti allo sviluppo”, la rapina coloniale delle terre, del sottosuolo e della forza-lavoro, versano in questa condizione. Auguriamoci che possano nascere nuove solidarietà per una lotta comune. Auguriamoci che i dannati della terra, quelli del canto proletario e quelli di Fanon, tornino a sollevarsi insieme, secondo l’incitamento del primo verso dell’Internazionale. 

In Italia si avvia, in un crescendo di annunci e di decreti che sparge tensione nella società, una nuova fase dello sviluppo delle tecnologie biopolitiche, dal momento che il movimento delle persone nello spazio sociale sarà, da ora in poi, presidiato e pilotato da tessere elettroniche, battuto da controllori nascosti nella folla. Anche chi è in possesso della tessera diventerà un prigioniero, perché lo spazio sociale è un “bene comune”. La perdita di esso conduce dritti dritti verso le colonne infami, che cominciano con gesti quotidiani mutati in diaboliche macchinazioni da occhi impauriti, e proseguono con colpevolezze decise anticipatamente da poteri che stringono tutti e ciascuno. La ricostruzione storica di Manzoni lo svela ad ogni passo. Anche quella vicenda fu, a ben vedere, una pastorale italiana. Ma oggi il potere pastorale arma di nuovi e temibili mezzi la religione del capitale, una religione che altro non è che il capitalismo come religione. Quanta civiltà e, soprattutto, quale civiltà riusciremo a salvare da questa deriva? Un’alternativa molto simile si presentò a Rosa Luxemburg, nell’imminenza della prima grande guerra imperialistica. Poi venne la Rivoluzione d’Ottobre. Non sappiamo che cosa ci riserva la pastorale italiana. 


Bibliografia

L. Althusser, Ideologia e apparati ideologici di Stato, in Freud e Lacan, Editori Riuniti, 1977.

L. Althusser, Marxismo e umanesimo, in Per Marx, Editori Riuniti, 1974. 

W. Benjamin, Sul concetto di Storia, Appendice, Einaudi, 2019,

M. Foucault, Le confessioni della carne, Feltrinelli, 2019. 

M. Foucault, Sécurité, territoire, population, Gallimard Seuil, 2004. 

A. Manzoni, Storia della colonna infame, Mondadori, 1989.

J.  Michelet, La strega, Einaudi, 1980

A. Negri, Crisi dello Stato-piano, in I libri del rogo, DeriveApprodi, 2006.